7 dicembre 2012

C'era una Volta in America


Molto spesso, nel corso della loro carriera, i registi tendono a perdere lo smalto e la passione che contraddistingueva le loro prime pellicole. Un piccolo luogo comune che non comprende il nostrano Sergio Leone, amato e apprezzato in tutto il mondo e, ancora oggi, simbolo italiano della settima arte. Con all’attivo sette film (più qualche titolo non accreditato), l’autore è riuscito sempre a migliorarsi, fino ad arrivare alla sua opera più completa, all’epoca bistrattata ed apprezzata solo in un secondo momento da critica e pubblico. La trama di C’era una Volta in America è più un pretesto per usare i personaggi che muovono le fila della storia come mezzo utile al solo scopo di raccontare un’epoca, un periodo storico ormai passato.
Lo stesso titolo, con quel “c’era una volta”, inneggia a qualcosa di fiabesco e di fanciullesco, trasformando poi il suo significato in antitetico, poiché tutta la situazione infantile inizia a cadere a causa di tanti fattori. Lentamente i bambini iniziano a crescere e a scoprire tante cose che vanno oltre la giovane età. Le prime esperienze sessuali, i primi amori e i primi incontri con la morte sconvolgono i loro sensi, facendoli maturare e mettendoli a conoscenza del fatto che, forse, era meglio credere ancora nelle favole, nel “c’era una volta”. Sì, perché se un tempo i bambini si ritenevano troppo grandi per le fiabe, ora i grandi non vedono l’ora di tornare piccoli e recuperare le storie in cui il bene vince sempre. Temi, questi, sottolineati dalle importanti e simboliche ellissi temporali, dove risiedono i più importanti snodi della trama. Classificato come il miglior gangster movie di tutti i tempi, questa pellicola è riuscita a dare ai film ambientati in strada quel tono di realismo e di commiserazione che distingue numerose opere di genere da tutto il resto, tentativo sperimentato da molti altri autori, Clint Eastwood e Martin Scorsese in primis. Ma la magia che sta dietro a tutto questo è irraggiungibile non solo grazie all’esperta mano dell’italiano sognatore (che sicuramente ha visto l’America in maniera molto diversa rispetto a chi ci è nato), ma anche grazie alla forse più imponente e melanconica musica del premio Oscar alla carriera Ennio Morricone, un compositore pronto a dare sempre il meglio e a rendere ogni momento di ogni film a cui partecipa il più significativo della sua carriera. La fotografia di Tonino Delli Colli, poi, immortala nel migliore dei modi tutta l’opera conclusiva della carriera di Leone, lasciando la propria impronta ad ogni ambiente interno e rendendo significativo qualsiasi angolo di strada. Non possiamo, in conclusione, tralasciare lo splendido lavoro svolto da costumisti e scenografi, pronti a rendere realistici vestiti e set, quasi come fosse più un documentario d’epoca. L’ultima fatica di Sergio Leone è diventata un film indimenticabile e obbligatorio per tutti gli appassionati del cinema, per la sua bellezza estetica e tecnica ma, soprattutto, per la sua profondità e il suo contenuto simbolico, per non parlare dell’importanza storica che possiede sia per quanto riguarda il genere gangster che per tutta la cinematografia. E vorrei continuare questa analisi ancora per molte righe, poiché mi accorgo, mano a mano che scrivo, di avere dimenticato talmente tante cose di cui parlare, come il fantastico lavoro svolto dagli attori principali e dai co-protagonisti, o la fittissima nebbia pronta a sporcare l’inquadratura per infastidire anche noi come i personaggi del film, ma le opere magnifiche della settima arte racchiudono, generalmente, così tanti concetti e sottotesti che sarebbe impossibile citarli tutti, e finirei sicuramente per fare un torto a tutto ciò di cui non si riesce a parlare in queste poche righe. Per cui preferisco concludere questa incerta recensione così, quasi a bocca aperta, con una piccola lacrima all’occhio sinistro, mentre i titoli di coda del film scorrono ancora nella mia testa, e con un pensiero che va al forse più grande maestro italiano del cinema, che ha saputo rendere omaggio con una sola, ultima magia a due paesi, fieri di essere stati rappresentati da un uomo che, quasi per gioco, prendeva la macchina da presa e immortalava interi periodi storici e avventure a volte goliardiche e a volte più drammatiche, facendolo sempre al grido sognatore e fiabesco della frase “C’era una volta”.


3 commenti:

  1. Un film che purtroppo ho recuperato troppo tardi. Immenso, una visione davvero indispensabile!

    RispondiElimina
  2. Con questo film ho avuto un rapporto turbolento: la prima volta che lo vidi, non mi piacque per niente, per la lunghezza e per altri motivi. La seconda volta non mi piacque nuovamente. La terza cominciò a piacermi. E la quarta volta che lo vidi, mi commossi, e ne restai incantato. E' un film che va visto più volte, secondo me, per poterlo apprezzare veramente.

    RispondiElimina